La “Testa di Basilea”, conservata presso il Museo Archeologico di Reggio insieme alla più celebre “Testa del filosofo”, faceva parte del carico di traghetto che operava nello Stretto, ed era stata imbarcata come rottame metallico.
Gli studi sul carico del relitto hanno confermato una datazione del naufragio negli anni a cavallo tra la fine del V sec. e gli inizi del IV sec. a.C., con un terminus ante quem del 375 a.C.
La testa di bronzo, si mostra molto simile a quella dello Zeus Eleutherios a capelli corti presente su una serie di monete in bronzo siracusane datate alla metà del IV sec. a.C. La somiglianza è davvero impressionante: oltre ad una sensazione generale, alla volumetria e alle dimensioni delle varie parti della testa, ci sembra sia da rilevare la perfetta analogia della resa delle ciocche dei capelli e della barba.
La perfetta coincidenza dei particolari non può essere attribuita solo ad uno scherzo del caso: troppo puntuali sono le corrispondenze, ove si consideri, in aggiunta, che alla “Testa di Basilea” manca attualmente l’attributo della corona d’alloro, che deve integrarsi, in base ai segni presenti sulla statua, all’altezza del diadema, e che è invece presente sulla tipologia monetale.
Notiamo, infatti, come dietro l’orecchio sinistro, in alto, alla fine di un ricciolo, le ciocche dei capelli sporgenti dalla benda siano rappresentate in modo innaturale, con una tacca per l’appoggio di un elemento fissato a parte, lo stephanos, la corona d’alloro.
Ci sembra, allora, che sussistano tutti gli elementi per proporre, sia pure ipoteticamente, l’identificazione del personaggio effigiato nella “Testa di Basilea” con lo Zeus Eleutherios, considerando il bronzo da Porticello, sulla base dello stringente confronto monetale, una replica, in dimensioni ridotte, della statua colossale di Siracusa raffigurante lo Zeus fulminante. La statua in oggetto sarebbe stata eretta a Siracusa dopo la caduta della tirannide dei Dinomenidi nel 465 a.C., come monumento perenne alla riottenuta libertà. Del significato simbolico di questa statua abbiamo un’altra testimonianza negli anni intorno al 460 a.C., con il tetradrammo in argento con Zeus Keraunios, emesso dai Danklaioi proprio in coincidenza della caduta della dinastia degli Anassilaidi a Rhegion ed a Messene. La tipologia monetale del recto ci mostra la divinità nuda, a gambe divaricate, con il braccio destro contratto, in atto di scagliare il fulmine liberatore, e quello sinistro teso, con la clamide appoggiata ai gomiti, passante dietro la schiena. L’analogia con lo Zeus di Siracusa è resa ancora maggiore dalla presenza, a destra nel campo monetale, di un altare, che richiama un culto.
La statua, di cui esiste solo la testa, è stata da noi integrata del corpo, per mostrare il dio nell’atto di scagliare il fulmine contro il gigante Tifone, liberando il mondo dalla tirannia di questi mostri invasori.
Il valore simbolico di questo mito fu valorizzato dopo la cacciata dei Persiani dalla Grecia nel 478 a.C., con il culto dello Zeus Liberatore, ripreso a Siracusa dopo la fine dei Dinomenidi, e riusato da Timoleonte nel 344 a.C., contro il tiranno Dionisio II a Siracusa e poi nel 339 a.C. dopo la battaglia del Crimiso, che vide la sconfitta dei Cartaginesi invasori.
La nostra ipotesi è che il reperto da Porticello di Villa San Giovanni sia la copia dello Zeus Liberatore eretta a Rhegion dopo la fine degli Anassilaidi nel 461 a.C., distrutta nel 387/6 a.C. da Dionisio I, quando riuscì a conquistare la polis dello Stretto che gli resisteva da venti anni.