La statua di Pitagora di Samo è conservata, in frammenti, presso il Museo Archeologico di Reggio, e proviene dal “Relitto di Porticello di Villa San Giovanni” (insieme alla Testa di Basilea). Si tratta del carico di un traghetto che faceva la spola tra le sponde dello Stretto, affondato nel primo quarto del IV secolo a.C. Nel suo carico erano presenti pezzi di statue di pregio, appositamente rotte per essere vendute come lingotti di bronzo da rifondere.
Quando noi moderni pensiamo alla figura di Pitagora, la nostra mente immagina un filosofo, particolarmente versato nella matematica e nella geometria, autore e propagatore di dottrine mistico-religiose, quali la trasmigrazione delle anime o l’idiosincrasia verso le fave.
Anche se, come sembra, Pitagora fu il primo a definire se stesso “filosofo”, a nostro avviso, tale visione non rende giustizia della complessità della personalità di Pitagora, che ne viene, così, sminuita e, in qualche maniera, addirittura snaturata.
Leggendo le fonti, possiamo individuare nel partito pitagorico l’anomalia magnogreca che ha condizionato tutta la vita sociale dell’Italia meridionale dal VI sec. a.C. fino al tardo ellenismo. Si può ben dire che i continui rivolgimenti e l’instabilità politica dell’intera area furono in larga parte determinati dalla lotta tra il partito democratico ed il partito pitagorico.
Proprio i pitagorici si posero, in Magna Grecia, come una versione accettabile e moderata dell’oligarchia aristocratica, che, governando praticamente dai tempi della fondazione delle colonie fino all’arrivo del Samio, si era resa responsabile di molti abusi ai danni del demos in nome della hybris.
Lo stesso Platone, come è ammesso dalla maggioranza degli studiosi moderni, si è ispirato al partito pitagorico nella sua elaborazione della Repubblica ideale: uno Stato il cui timone fosse affidato non ai più ricchi o ai più prepotenti, ma ai filosofi, cioè a coloro che, come timonieri delle navi, perseguivano un progetto che potesse fungere da rotta da percorrere.
L’unico mezzo per far avanzare le ricerche sulla testa di Porticello consiste solo nella lettura dei segni rimasti nel bronzo, tentando di dare per ciascuno una interpretazione e, quindi, di fornire l’integrazione di ciò che era presente sulla testa ma che oggi è andato disperso.
Già nelle edizioni preliminari del reperto, si era messa in evidenza un segno che corre da una tempia all’altra girando dietro la nuca. Tale segno è stato interpretato, in modo erroneo, come una corona, presumibilmente d’alloro, o come una venda o diadema sacerdotale o regale.
Osservando con attenzione i segni di questo elemento, soprattutto nella parte posteriore, si può, però, notare come si doveva trattare di un attributo relativamente pesante, al punto da fare in modo che i capelli siano da esso schiacciati e rimangano quasi compressi.
L’elemento da integrare, quindi, deve coprire quasi tutta la testa, ma non integralmente, giacché proprio nella parte sommitale del capo i capelli tendono a ritrovare la loro massa, venendo rifiniti con maggiore cura.
Del resto, l’artista ha pensato che una parte dei capelli coperti dall’elemento aggiunto doveva essere in qualche modo visibile, o, perlomeno, doveva essere possibile intravederla.
La forma di tale elemento riporta a un turbante, che, come nella testa di Pitagora dei Musei Capitolini, richiama i suoi trascorsi di studio e di formazione in oriente.
Il resto dei frammenti della statua in bronzo sembra richiamare una statua greca, di cui si conosce la copia romana in marmo, nota “suonatore di lira del Louvre“.
La statua del Louvre, di cui la testa non sembra pertinente, è caratterizzata da un corto himation, trattenuto sull’anca dalla mano destra e dalla presenza nella mano sinistra della lira.
Rispetto alla copia, l’identificazione del nostro personaggio è resa certa dalla presenza di tale attributo, ma altri due particolari iconografici rimandano alla figura del filosofo Pitagora.
Non ci sembra casuale, infatti, la presenza della mano nell’atto di tenere l’himation sull’anca destra, a nostro avviso un chiaro rimando alla tradizione che voleva che la coscia destra del filosofo fosse d’oro.
Anche la lira ci rimanda all’ambiente pitagorico, giacché, com’è noto, fu il filosofo a decifrare i segreti matematici degli accordi musicali e, soprattutto, richiama l’influenza del dio Apollo come coordinatore del cosmo nella dottrina del Samio.