Il “Satiro danzante” conservato nell’omonimo museo di Mazara del Vallo, è una statua in bronzo di dimensioni superiori al vero non integra, copia di epoca ellenistica. Contrariamente al solito, non è oggetto di dubbi la sua interpretazione: si tratta di un satiro, raffigurato durante un’estasi orgiastica nel corso di un rituale in onore del dio Dioniso.
L’opera fu ritrovata nelle reti del peschereccio “Capitan Ciccio” di Mazara del Vallo, comandato dal capitano Francesco Adragna: in una prima “pesca” trova una gamba in bronzo di una statua; la notte del 4 marzo 1998 viene rinvenuto il resto della scultura, anche se un braccio andò perduto durante le operazioni fortunose di recupero. Secondo l’autorevole parere dell’archeologo Sebastiano Tusa (attuale Soprintendente del Mare della Regione Siciliana), la statua si trovava su una nave da carico romana che fece naufragio tra l’isola di Pantelleria e Capo Bon in Tunisia, probabilmente tra il III e il II secolo a.C.
Venendo ora alle ipotesi formulate dagli studiosi, secondo Paolo Moreno la statua sarebbe il celebre “Satyros periboetos” di Prassitele, originale greco del IV secolo a.C. L’appellativo “periboetos”, utilizzato da Plinio il Vecchio a proposito della statua di Prassitele (Nat. hist., ΧΧΧΙV, 69), non sarebbe da interpretare, secondo lo studioso, con il significato di “di cui si parla molto”, ovverossia “famoso”, “celebre”, ma come “colui che grida freneticamente”. La datazione proposta sarebbe, infine, confermata da un confronto con un satiro danzante davanti al dio Dioniso seduto, che si trova raffigurato su un vaso attico datato del IV secolo a.C.
Per quanto riguarda la qualità della statua di Mazara, occorre dire che, pur essendo di grandissima qualità, essa non presenta quei caratteri formali di maestria, riscontrabili soprattutto nei particolari, quali occhi, ciglia, sopracciglia, unghie, capelli. In tutti questi elementi non emerge la mano di un Maestro, ma quella di un abile copista, che è riuscito a rendere la potenza della creazione originaria, senza “cesellare” e rifinire i singoli particolari. Basta solo l’osservazione e il confronto con i Bronzi di Riace e con la testa di Pitagora di Samo, autentici originali e capolavori di un artista di primissimo piano, per comprendere la differenza di stile e di qualità che intercorre tra originale e copia, sia pure di ottimo livello.
Alla medesima conclusione deve indurre l’esame della rotta della nave, che sembra dirigersi o provenire da Cartagine, essendo completamente al di fuori dalle usuali rotte marittime da e per la Grecia. Rimanendo sempre solo a livello di ipotesi: perché non pensare a una nave che trasportava a Roma una parte del bottino di Cartagine, assediata e conquistata dai Romani nel 146 a.C., dopo un assedio durato ben due anni?
In conclusione, credo non si possa non concordare con l’ipotesi Moreno per quanto riguarda l’attribuzione a Prassitele dell’originale del Satiro di Mazara, dissentendo con lo studioso solo per quanto riguarda il fatto che si tratta di una copia di epoca ellenistica. La proposta di integrazione e ricostruzione che proponiamo, basata sui numerosi confronti della fortunatissima statua di Prassitele, tiene conto delle fonti che citano tirso e cantaro nelle mani del satiro, colto mentre, nello slancio della danza, protende capo e braccia all’indietro, aprendo la bocca al grido “evoé” in onore di Dioniso. Proprio la caratteristica della bocca aperta ha dato, a nostro avviso, il nome periboetos al tipo statuario: oltre che da Platone, a proposito di Ares, l’aggettivo si trova in altri contesti in cui appare chiaro il suo utilizzo per indicare un alto grido.