Come si può notare nelle emissioni monetali cipriote, il sincretismo tra Eracle e Melqart attesta la presenza di una testa imberbe, ricoperta solo dalla leontè, in cui le caratteristiche stilistiche greche sembrano prevalere su quelle fenicie. Seguendo l’Eracle di Cipro, Paolo Moreno, unico tra gli studiosi, ha provato a descrivere una ricostruzione delle parti mancanti, “condotta tenendo conto non solo delle grappe e dei segni della copertura bronzea rimasti sul marmo, bensì delle anomalie compositive, proporzionali e prospettiche della figura, nella loro complessità e unità”. Ci sentiamo di condividere integralmente l’ipotesi del Moreno, cui eravamo arrivati qualche anno fa, in maniera completamente autonoma dopo una ricognizione autoptica della statua. Di fatto, l’interpretazione del personaggio rappresentato nella statua di Mozia si deve basare unicamente sulla integrazione degli elementi iconografici andati perduti, e non su “intuizioni” più o meno motivate, “sensazioni” e prese di posizione dogmatiche.
Tutti i segni presenti sulla statua risultano compatibili con una leontè tipica di Eracle, realizzata in bronzo e assicurata con alcune grappe. Dirimenti, a nostro avviso, sono i due fori nella parte alta del petto, posti all’altezza della fascia che cinge il chitone, che possono essere giustificati solo per il fissaggio delle zampe anteriori della leontè, annodate, com’era usuale, con il “nodo erculeo”, il nostro “nodo piano”.
Nel c.d. Eracle di Cipro, il dio viene mostrato frontale, con la leontè che si allaccia sul petto e ricade dietro le spalle. La caratteristica peculiare di questo tipo iconografico è rappresentata dalla posizione del braccio destro, sollevato, nell’atto di vibrare un colpo con la clava, tenuta al di sopra della testa, nella posizione del “dio che colpisce”, già conosciuta a partire dal mondo egizio. La peculiarità di questa raffigurazione ci induce a divergere sulla ricostruzione di Moreno, credendo più verosimile che la statua estendesse il suo braccio, tenendo la clava in bronzo nella parte posteriore della testa, anche poco sopra le spalle, non necessariamente fissata con le medesime grappe che trattenevano la leontè.
La nostra ricostruzione mostra un Eracle/Melqart, con leontè sul capo, che ricade sul dorso e si mostra legata sulla parte alta del petto; il suo abbigliamento consta in un lungo chitone, trattenuto con una fascia che si incrocia sul petto; il dio appare in un chiasmo paragonabile a quello che si ritrova nei Bronzi di Riace, ma con la differenza sostanziale che il braccio destro è sollevato e la mano sinistra si appoggia all’anca. Dal punto di vista iconografico, occorre integrare una leontè e una clava in bronzo, probabilmente oggetto di depredazione da parte dei guerrieri di Dionisio il Vecchio dopo la presa di Mozia del 398/7 a.C. In quest’ottica, sarebbe possibile collegare la statua di culto di Eracle/Melqart con il vicino tempio di Cappiddazzu, come pure è stato ipotizzato: l’eroe dei Greci si è caricato delle valenze religiose del Milk-Qart “Il Re della Città” di Tiro, che si può facilmente distinguere dal suo omologo ellenico per il volto imberbe; d’altronde, come è noto, la parte più occidentale della Sicilia, con la fortezza di Lilibeo, era posta sotto la protezione di questo dio, e prendeva appunto il nome di Ras Melqart.